Fast Fashion: di cosa si tratta?

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Fast Fashion

Che cos'è, perchè ti riguarda e cosa puoi fare a riguardo?

In occasione della Fashion Revolution Week*, abbiamo deciso di realizzare una serie di contenuti a tema moda sostenibile (e non).

In questo articolo partiamo dalla base, ovvero capiamo insieme cosa si intende quando si parla di fast fashion, quali sono le sue disastrose conseguenze e quali sono le alternative.

*Questa settimana è organizzata da Fashion Revolution, un movimento globale senza scopo di lucro che realizza campagne per modificare il sistema dell’industria della moda, pretendendo maggiore trasparenza nella filiera lavorativa.

Fast Fashion Che cos'è la fast fashion?

Con Fast Fashion si intende un settore dell’abbigliamento che realizza abiti di bassa qualità a prezzi super ridotti e che lancia nuove collezioni continuamente e in tempi brevissimi, (sì, stiamo parlando delle grandi catene che si trovano ormai in ogni città e in qualsiasi centro commerciale).

A un primo sguardo, si potrebbe pensare: “che figata, vestiti nuovi ogni volta che voglio a prezzi ridotti”, ma sappiamo che il primo sguardo non basta più e che è importante porsi delle domande, approfondire e conoscere meglio chi ci presenta tutto questo come se fosse una cosa fantastica.

Queste aziende hanno come prima (e probabilmente unica) priorità, quella di fare profitto.
Si parla (per il gruppo Inditex) di un fatturato di 26,15 milardi di euro con un utile netto di 3,44 miliardi di euro, e per riuscire a guadagnare così tanto vendendo prodotti a prezzi così bassi, da qualche parte c’è qualcosa a cui non si sta prestando attenzione.

Fast Fashion Le conseguenze sugli esseri umani

Rivendere abbigliamento a basso costo, significa produrlo a basso costo, e produrre a basso costo significa non dare importanza a tantissimi aspetti della produzione.

T shirt true cost

In questa foto, ad esempio, puoi vedere il costo di una maglietta da 17€ e come vengono suddivisi i guadagni.

(Precisiamo che questi costi possono essere variabili da azienda ad azienda, da materiale utilizzato e da contratti stipulati tra le parti).

Come avrai sicuramente notato, il lavoratore è il più svantaggiato in questo scenario ma è importante sapere che uno degli svantaggi non è solo il basso salario ma anche e soprattutto le condizioni lavorative.

Questo ci porta quindi a ciò che è accaduto il 24 aprile 2013, in Bangladesh: in questa data è crollato il Rana Plaza, un grandissimo edificio di otto piani che ospitava appartamenti, numerosi negozi e tra le attività anche diversi laboratori tessili che lavoravano per alcune tra le più note catene del fast fashion (vi dice qualcosa H&M, Benetton…?).

Prima dell’accaduto, erano state segnalate crepe nell’edificio che potevano portare a un crollo e, dopo questo avviso,  le attività sono state temporaneamente chiuse, tutte tranne…indovinate un po’ chi? Ma ovviamente le fabbriche tessili!
I proprietari di queste fabbriche hanno infatto ordinato ai lavoratori di tornare il giorno successivo, giorno in cui l’edificio è collassato.

Questo crollo ha comportato 1129 vittime e 2515 feriti.

Rana plaza
L'edificio rana plaza dopo il crollo.

Il 24 Aprile viene designata da Fashion Revolution come Fashion Revolution Day dopo questo accaduto.

Questa è una delle tante dimostrazioni di come chi lavora in queste fabbriche non abbia garanzie o tutele in termini di norme di sicurezza o norme igieniche e quanto limitata sia la possibilità di ribellarsi a questo sistema.

Fast Fashion Le conseguenze sull'ambiente

Oltre a non avere rispetto per le persone che producono gli abiti, queste aziende non si preoccupano di certo di quello che può essere l’impatto delle loro produzioni sull’ambiente. Non c’è attenzione per i tessuti scelti, per le tecniche di produzione e, l’utilizzo di pesticidi o sostanze chimiche aggressive, non è affatto un problema.

La poca attenzione per questi dettagli (che non sono proprio dettagli indifferenti), rende l’industria della moda la seconda in industria più inquinante, subito dopo il petrolio.

La Commissione Economica per l’Europa delle Nazioni Unite, durante una conferenza in Svizzeraha rilasciato dei dati sconcertanti relativamente ai danni che provoca all’ambiente questo tipo di industria: essa è infatti responsabile del 20% dello spreco globale dell’acqua e del 10% delle emissioni di anidride carbonica, oltre a produrre più gas serra di tutti gli spostamenti aerei e navali di tutto il mondo.

Oltre a questo, a causa dei pesticidi utilizzati, vengono inquinati i fiumi e i terreni vicini alle fabbriche che ogni giorno scaricano nell’acqua pesticidi, coloranti tossici o sostanze dannose e aggressive utilizzate per la colorazione o lo sbiancamento dei tessuti.

Non è solo la natura a rimetterci in questo caso, ma anche le popolazioni che abitano vicino a quei fiumi e a quegli scarichi, che utilizzando quell’acqua per agricoltura ed esigenze quotidiane, mettono in serio pericolo la loro salute.

Fast Fashion I rifiuti provocati dalla fast fashion

Eh sì, perchè la produzione “fast”, oltre a creare tutte le sgradevoli situazioni che hai appena letto, è responsabile anche di un enorme quantitativo di rifiuti.
Il rifiuto è principalmente di due tipi:

Merce invenduta

Produrre così tanto comporta anche il rischio che non tutto venga venduto e infatti, nel 2018, H&M è rimasto con una quantità di invenduto pari a 4 miliardi e 300 milioni di dollari.
Questa merce invenduta, viene bruciata ed essendo la maggior parte di questi vestiti realizzata con tessuti sintetici di pessima fattura, possiamo solo immaginare il tipo di sostanze che può rilasciare il fumo generato da questo bel falò.

Merce indesiderata

Questo tipo di rifiuto, è quello che generiamo noi in modo diretto.
Lo generiamo quando ci stufiamo di un abito, quando pensiamo che vada buttato perchè si è rovinato, quando si è effettivamente rovinato perchè avendolo pagato 5€ il tessuto è pessimo e si rovina facilmente, quando abbiamo accumulato troppi vestiti e dobbiamo svuotare l’armadio, quando compriamo qualcosa che non ci convince perchè costa poco e poi non lo indossiamo mai e finiamo per buttarlo.

Certo, starai pensando che nessuno getta gli abiti in discarica, tutti li donano!
Beh, secondo il rapporto “L’Italia del riciclo 2010” a cura della Fondazione Sviluppo Sostenibile e Fise-Unire di Confindustria, in Italia, ogni anno finiscono in discarica 240.000 tonnellate di prodotti tessili, principalmente capi di abbigliamento.

Fast Fashion Ma in tutto questo, io che responsabilità ho?

La responsabilità che abbiamo in quanto consumatori, ma soprattutto in quanto esseri umani, è quella di assicurarci che i nostri soldi finiscano nelle tasche di chi condivide i nostri valori.

Lo sfruttamento delle persone (lavoratori e consumatori) e l’inquinamento del pianeta, non rientrano tra i miei ed è per questo che non appena sono venuta a conoscenza di questi fatti, ho smesso di sostenere queste aziende.

Truecost
Una testimonianza che dovrebbe far riflettere, estratta dal documentario “the true cost”, di una lavoratice di una fabbrica che produce abiti per la fast fashion.

Continuare ad acquistare da queste aziende significa far parte del problema.

La responsabilità che hanno queste aziende è grande, ed è innegabile che continuino a fare scelte sempre sbagliate in termini di diritti umani e ambientali, ma se la produzione di vestiti è raddoppiata negli ultimi anni è in parte anche una conseguenza delle nostre scelte, in quanto siamo noi ad acquistare sempre di più e ad aumentare la richiesta.

Nel 2014, (secondo uno studio di McKinsey divulgato da Greenpeace), infatti, la produzione di vestiti di un anno ha raggiunto e superato i 100 miliardi, che equivale a circa 14 abiti per ogni essere umano (in un anno).

Per fermare o limitare questi danni, dobbiamo smettere di comprare abiti per ogni occasione speciale che capita, dobbiamo dare più valore a quello che abbiamo già e investire in capi più duraturi che non saremo costretti a buttare perchè rovinati dopo qualche lavaggio.

Prima di acquistare un nuovo capo in questi negozi, fermati a riflettere sul vero costo di quel vestito da 15€ che finirà sul fondo del tuo armadio nel giro di pochi mesi.

Fast Fashion Quali sono i brand considerati fast fashion?

Per poter boicottare questa tipologia di business, devi conoscere chi ne fa parte. Ecco una lista delle aziende più note che ti potrà essere utile!

  • H&M
  • Topshop
  • Primark
  • Benetton
  • Mango
  • Shein
  • Temu
  • & Other Stories
  • Cider

Tutti i brand del gruppo Inditex:

  • Zara
  • Oysho
  • Stradivarius
  • Pull&Bear
  • Bershka

Fast Fashion Visioni consigliate

The true cost

Il documentario che cambierà il modo in cui acquisti.
The_true_cost

Non posso non consigliare la visione di The True Cost: un documentario illuminante (da qualche tempo disponibile su Netflix) che regala un quadro completo ed esaustivo del mondo del fast fashion e di tutto ciò che comporta.

Questo è il documentario che mi ha fatto definitivamente smettere di acquistare da queste aziende e che mi ha fatto riflettere sulla scelta di acquistare prodotti realizzati in modo etico e sostenibile!

Junk - Armadi pieni

Scopri l'impatto della moda sulle persone e sull'ambiente, in giro per il mondo.
Junk armadi pieni locandina

Questa serie documentario è composta da 6 episodi, ognuno girato in un luogo diverso nel mondo, che ti farà scoprire l’impatto della moda sull’ambiente e soprattutto sulle persone.

Essendo divisa per puntate di quasi 30 minuti ti permette di poter affrontare questo tema a piccoli passi e riflettendo man mano su ciò che vedi.

La serie è prodotta da Sky Italia e da Will Media ed è uscita nel 2023, riuscendo ad arrivare a tantissime persone in quanto si tratta di una serie che puoi trovare gratuitamente su YouTube, on demand su Sky e nel servizio di streaming NOW!
Questo documentario nasce per creare consapevolezza ma anche lasciare una luce di speranza per far capire che il cambiamento è ancora possibile.

Alternative alla Fast Fashion Quali sono le alternative?

Fino ad ora abbiamo spiegato nel dettaglio il significato di “fast fashion” e tutte le conseguenze che comporta questo tipo di produzione e di consumo. Molto probabilmente a questo punto oltre a sentirti arrabbiatə e triste, ti starai anche chiedendo: “sì ok, ma adesso cosa faccio se voglio comprare dei vestiti?”.

Ecco alcune delle possibili alternative, che andremo a spiegare nel dettaglio: valorizzare ciò che hai già, comprare usato, comprare etico.

Alternative alla Fast Fashion Usa quello che hai già, sì, anche se proviene dalla fast fashion

Eh sì, una delle prime cose da fare dopo aver scoperto il mondo della fast fashion è fermarsi un attimo e analizzare bene quello che già si ha. Tranne in determinati e particolare casi, mi sento tranquillamente di dire che la maggior parte di noi ha veramente tantissimi vestiti nell’armadio, molti di più di quelli che ci servono: vestiti che ora non piacciono più ma forse tra qualche anno sì, abiti con qualche difetto che non abbiamo mai portato a riparare, capi che dovremmo stringere, capi per cui dobbiamo cambiare la nostra forma fisica per poterci rientrare o semplicemente abiti che abbiamo dimenticato di avere.

Praticamente abbiamo già tutto quello che effettivamente ci serve e quando ci si ferma un attimo, ci si rende conto che non c’è bisogno di comprare qualcosa di nuovo ogni mese o ogni settimana.

Usa quello che hai gia

Quindi, il primo passo è sicuramente quello di rivalutare quello che si ha e sfruttare al massimo tutto il guardaroba: fai le riparazioni che ritieni necessarie per poter indossare quello che non indossavi mai, libera il tuo armadio donando o regalando quello che sicuramente non metterai mai più e valorizza ciò che già usi. Quando ho iniziato il mio percorso, questo primo passo mi ha portato a non comprare abiti nuovi per molti mesi!

Alternative alla Fast Fashion Acquistare: pensa prima di comprare

Prima di affrontare il tema del tipo di acquisto (usato o etico), è importante secondo me fare una precisazione.

Quello che va cambiato non è solo il tipo di acquisto, ma la modalità con cui si fanno gli acquisti.

Acquistare in modo frenetico e compulsivo capi usati e etici, non è una scelta vincente. Stiamo comunque probabilmente acquistando qualcosa che non ci serve e che dopo qualche tempo dimenticheremo nell’armadio.

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Ecco perchè il mio consiglio è quello di capire che cosa si utilizza più frequentemente, che cosa continua a piacerci dopo tanto tempo e investire quindi in capi di abbigliamento che ci convincano al 100% e che possano durare nel tempo.

Alternative alla Fast Fashion Acquistare: usato o vintage

Second hand shopping

Beh, magari non diventa migliore ma quando compri usato qualcosa per migliorare il mondo lo stai sicuramente facendo!
Se decidi che vuoi ampliare il tuo guardaroba, sicuramente acquistare usato o vintage è infatti una delle soluzioni più sostenibili che tu possa scegliere.
Acquistare usato significa utilizzare qualcosa che è già stato messo in circolo, significa dare valore alle risorse che sono state impiegate per produrre quel capo e significa non aumentare la richiesta di nuove produzioni.

Comprare usato (=seconda mano), spesso significa anche riuscire a spendere poco, portandosi a casa dei capi in ottime condizioni.
Il vintage (non sempre) ha dei prezzi più alti, in quanto comprende spesso capi di alta moda di annate precedenti a quella attuale che, anche se proposti a un prezzo notevolemente più basso rispetto al prezzo originale, rimane comunque più alto rispetto al classico usato.

Alternative alla Fast Fashion Dove si compra usato?

Ci sono diversi negozi, fisici e online, che rivendono questo tipo di merce e ci sono degli strumenti che utilizzo per trovare quelli più adatti a me, ve li elenco qui di seguito:

App Mercato Circolare

Questa app segnala tutte le attività vicine a te che seguono l’idea di economia circolare. Non troverai quindi solamente negozi di abbigliamento usato, ma anche negozi di sfuso, di riparazione e via di seguito. Ovviamente appaiono solo i negozi che vengono segnalati dagli utenti o che richiedono di essere inseriti, quindi non è una lista completa, ma è sicuramente un ottimo inizio.

Mappa della Rete Zero Waste

Anche questo è un altro strumento utilissimo che indica negozi di usato, di sfuso e anche case dell’acqua. Se stai cercando usato, puoi anche impostare un filtro che mostri solamente negozi di usato.
Anche in questo caso la mappa si completa grazie alle segnalazioni di chi la utilizza!

Depop

Questa app è utilissima per acquistare e vendere abbigliamento e accessori usati. Funziona un po’ come Instagram: crei il tuo profilo e segui quelli che ti interessano. Qui puoi trovare usato proveniente dalla fast fashion, di marca, di alta moda, di sartoria e ovviamente ci sono anche i profili dei negozi che rivendono questi prodotti.
Io la utilizzo molto quando voglio acquistare abiti usati di una marca che mi piace molto: basta cercare il nome dell’azienda e compariranno tutte le foto in cui è stato usato come hashtag.

Vinted

Vinted offre la possibilità di vendere capi usati con molta semplicità. Le commissioni sono inesistenti e le proposte presenti sulla piattaforma sono davvero accessibili. App utilissima per chi non vuole spendere molto e non cerca necessariamente brand particolari o di lusso.

Alternative alla Fast Fashion Acquistare: moda etica e sostenibile

Ethical fashion

Un’altra soluzione per evitare la fast fashion è quella di acquistare da aziende che appartengono alla moda etica.
Per me, un’azienda etica è un’azienda che in primis produce rispettando i lavoratori e che è trasparente nel raccontarlo, insieme però ad altri fattori come i tessuti, il packaging, la spedizione, la provenienza, ecc.

Acquistare etico in questo caso significa sostenere piccole aziende che cercano di farsi spazio in un mercato che predilige il basso costo e l’infinita scelta di abbigliamento, significa supportare dei bellissimi progetti umanitari, significa a volte dare possibilità di sviluppo a comunità in paesi in via di sviluppo o in zone rurali, significa acquistare capi realizzati con materiali naturali o riciclati e investire in abiti duraturi.

Qui di seguito voglio elencarti i nomi di alcune aziende di questo tipo, che mi piacciono personalmente per come raccontano e svolgono il loro lavoro e per i valori che condivido con loro. Tutte queste aziende si impegnano attivamente sui social per sensibilizzare le persone sulla fast fashion e su ciò che comporta.

People Tree

Questa azienda nasce nel 1991 ed è meravigliosa. Oltre ad utilizzare tessuti principalmente naturali e tinture a basso impatto ambientale, collabora con diversi lavoratori in 6 Paesi differenti, garantendo gli standard Fair Trade e GOTS. Una grossa parte del loro lavoro, è lavorare a contatto con persone in paesi in via di sviluppo, di modo da avviare aziende che possano sostenere economicamente un’intera comunità. Oltre a tutto questo, la scelta tra abbigliamento e accessori è davvero ampia e i prezzi accessibili, considerando il tipo di prodotto e lavoro di cui stiamo parlando.

Thinking Mu

Questa azienda è spagnola, produce abbigliamento realizzato con tessuti naturali come cotone bio, canapa, lino e ha un progetto che si chiama Trash, da cui nascono capi con tessuti riciclati derivanti da vecchi indumenti, un progetto che fa un grande passo verso l’economia circolare.
La produzione avviene tra Spagna e India, in quest’ultimo paese lavorano con la stessa comunità di quando hanno iniziato, una relazione che li ha aiutati a svilupparsi economicamente. Nei loro laboratori,  non c’è sfruttamento lavorativo, minorile, discriminazione o ore di lavoro eccessive, garantiscono salari dignitosi e un ambiente di lavoro sano e pulito.

Un progetto 100% italiano che puoi trovare nel nostro shop, che nasce con l’idea di rendere sostenibili tessuti che non sempre lo sono, realizzando quindi abiti in cotone o lana rigenerati, e per combattere in prima linea il concetto di fast fashion.

Il cashmere usato per produrre maglioni, fasce, sciarpe, guanti o cappelli è realizzato da vecchi indumenti trinciati e trasformati in un nuovo filato che viene utilizzato per la produzione di nuovi capi.

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Le t-shirt di cotone sono realizzate utilizzando un sistema innovativo: cotone rigenerato e bottigliette di plastica raccolte dal mare. Ogni t-shirt è infatti fatta con un 1kg di scarti di cotone e 4-5 bottigliette di plastica e, se pensate che normalmente una tshirt richiede 2700 litri d’acqua e questa ne richiede solamente 30, questa produzione è da considerarsi unica nel suo genere e super sostenibile.

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